Quel filato prossimo venturo

Parlando di tessuti si finisce, per forza, a parlare di fibre e filati. Parlando d’innovazione ed evoluzione nel tessile, succede la stessa cosa. Insomma la parte alta della filiera produttiva del nostro comparto (in questo caso arredamento o abbigliamento poco importa), quella dove si trova la materia prima o il più importante semilavorato dell’intero processo, in un modo o nell’altro è sempre protagonista della scena.
Legittima quindi la curiosità di capire a che punto è la produzione di filati, la ricerca sulle materie prime, siano esse naturali, artificiali o sintetiche e, soprattutto, verso cosa si orienta il futuro di questo mondo. Per fare ciò abbiamo chiesto l’autorevole opinione di una delle figure italiane più titolate e competenti proprio nell’ambito dello sviluppo e della ricerca nel tessile, Aldo Tempesti. Il manager, direttore dal 1998 del TexClubTec (Associazione Italiana del Tessile Tecnico), è oggi responsabile dell’area ricerca e innovazione di Sistema Moda Italia e Cluster Manager del Cluster Tecnologico nazionale “Made in Italy”.

D. – Dott. Tempesti cominciamo a tracciare il quadro della situazione attuale in ordine a materie e filati…
R. – Per capire a che punto siamo, a livello mondiale, con la produzione e la ricerca sui filati, dobbiamo fare un passo indietro e ripercorrere brevemente la storia degli ultimi decenni nel comparto. Diciamo che negli anni ’80 i grandi gruppi chimici erano dei veri colossi che dominavano e dettavano le regole al mercato. La Ricerca e Sviluppo di tali gruppi metteva a punto nuove materie prime, che venivano introdotte sul mercato che cercava di individuarne le possibili applicazioni. Poi, con la frammentazione di questi colossi, si è entrati in un periodo di caos che ha creato un certo disorientamento degli utilizzatori della filiera a valle che, dopo un necessario periodo di adattamento, sono diventati loro stessi motore di innovazione, indicando le linee di ricerca da sviluppare ai team dei produttori sulla base delle esigenze del mercato. Si è passati così dal classico “product oriented” a un più moderno “customer oriented”. Un ciclo evolutivo che ha portato a una maggiore attenzione anche alle problematiche ambientali globali, in quanto i problemi sono diventati pressanti e urgenti, e gli stimoli arrivano “dal basso” e non sono calati esclusivamente dall’alto degli uffici marketing dei giganti dell’industria chimica.
Gli ultimi anni hanno visto la ricerca concentrarsi sempre più su tutto ciò che riguarda la sostenibilità, il riciclo e i processi di lavorazione ecocompatibili. Semplificando al massimo, se noi consideriamo il trinomio fibre naturali/artificiali/sintetiche come una linea retta con tre stop esattamente in quest’ordine, possiamo dire che la ricerca si orienta sempre più al centro per trovare una soluzione alle problematiche che si incontrano operando agli estremi. Quindi più fibre artificiali per limitare i problemi delle naturali e delle sintetiche. Questo in termini assolutamente generali, poi ci sono una miriade di precisazioni da fare.

D. – Quindi vuole dire, per esempio, che le fibre naturali non sono così virtuose come sembra?
R. – Ecco vede, c’è sempre bisogno di molte precisazioni quando si parla di questi argomenti. La questione non è se il cotone sia buono o cattivo. È ovvio che è buono, ma oggi sappiamo che la coltivazione di molte materie prime vegetali può creare, in relazione alle condizioni generali del pianeta, anche dei problemi. Non a caso la Commissione Europea all’interno del programma Horizon for Europe (2021-2027) finanzia moltissimi progetti di studio e ricerca sulla sostenibilità. Proprio sul cotone per esempio, tra pesticidi utilizzati, consumo d’acqua, grandi aree necessarie alla coltivazione, ci s’interroga su quali potrebbero essere materie naturali alternative meno impattanti per l’ecosistema. Allo stesso modo, nell’ambito delle sintetiche, c’è la questione dello smaltimento e dell’eventuale riuso e riciclo. Ma andiamo con ordine. Nella sfera delle fibre naturali si sta facendo grande sperimentazione su materie alternative al cotone, meno impattanti nella coltivazione da ogni punto di vista – quindi meno acqua e pesticidi – e, per ciò che riguarda noi europei, anche già presenti sui nostri territori nell’esperienza di coltura. Quindi lino e canapa. Non solo. La frammentazione dei grandi colossi che citavo prima, insieme all’evoluzione “4.0” delle imprese, ha permesso il fiorire, molto anche in Italia, di una serie d’interessantissime startup su progetti specifici di assoluto interesse: penso a una nuova impresa siciliana che lavora alla produzione di una fibra artificiale ottenuta dalle bucce delle arance, oppure a un’altra realtà, sempre del nostro Paese, che sta facendo ricerca avanzata sulla produzione di fibre dagli scarti della lavorazione del vino. Senza dimenticare chi si sta impegnando nel miglioramento del processo produttivo e delle applicazioni di fibre utilizzando come base piante infestanti, tipo l’ortica.

D. – Lei ha parlato di “Industria 4.0 e Digitalizzazione”. Capitoli di cui si parla molto. Sono così importanti anche nel nostro settore?
R. – Sono fondamentali. La loro centralità deriva dal fatto che sono gli strumenti principali per dare gli strumenti a piccole e medie strutture a rispondere alle esigenze di un mercato ormai compresso nei quantitativi e nei tempi di consegna ma esteso nel ventaglio delle richieste e delle applicazioni.
Non solo. La digitalizzazione permette la nascita di piccole imprese che studiano e progettano processi interamente computerizzati – qualcosa che si potrebbe paragonare a una sorta di artigiano evoluto e moderno che usa le nuove tecnologie, – ma permette anche la programmazione dei processi produttivi delle grandi imprese verso lotti sempre più piccoli e diversificati di produzione. Penso, in questo caso, in primo luogo alla tintura. Poi c’è l’aspetto gestionale: il “4.0” consente un più facile adeguamento alle esigenze dell’economia circolare, e quindi del controllo degli scarti. In ultimo, la digitalizzazione dei processi produttivi, proprio perché permette di realizzare piccoli lotti di produzione rende all’impresa la necessaria flessibilità e rapidità per colloquiare facilmente col mondo del design. In poche parole “Industria 4.0 e Digitalizzazione” permettono la creazioni di nuovi modelli di business indispensabili per la sopravvivenza del tessile.

D. – Torniamo al futuro di fibre e filati. Ha parlato delle naturali: guardiamo ora a sintetiche e artificiali…
R. – Diciamo che in questo campo le parole d’ordine possono essere due: su filati in poliestere e poliammide si lavora sulla ricerca di bio polimeri che limitino l’uso di materie prime di fonti fossili in favore di rinnovabili, quindi possiamo dire che, anche in questo caso, ci si sposta dal sintetico all’artificiale. L’altra parola d’ordine è “riciclo”: e questa la possiamo definire trasversale a tutte le fasi dei processi produttivi. La sfida è riutilizzare i prodotti a fine vita, quando di solito si fa “downgrading”e lo si butta via, creando invece “upgrading” e quindi una sua rinascita. Dal poliestere che, ripreso e trattato, e trasformato in un nuovo chip torna a essere un filato, alla polvere della lavorazione del marmo che si sta provando ad utilizzare per colorare le fibre. Rimanendo ancora in Italia cito un altro esempio: ci sono produttori di tende da sole che ritirano e riciclano gli scarti di produzione per crearne di nuove, limitando al massimo il peso del rifiuto tessile.

D. – Insomma lei ci disegna un futuro roseo e pieno d’investimenti e innovazione. È davvero così ottimista?
R. – Non è questione d’ottimismo. Lei mi ha chiesto dove va la ricerca per fibre e filati e io gliel’ho descritto. Poi vedremo cosa sarà davvero applicabile e cosa rimarrà un sogno nel cassetto. Le tendenze però sono assolutamente quelle che ho raccontato. Poi c’è un problema d’ineluttabilità: è indiscutibile e incontestabile il fatto che l’industria europea e quella italiana in particolare debbano rimanere all’avanguardia dei processi di produzione per fornire al mercato efficienza, soluzioni innovative e flessibilità. Solo così reggeranno la concorrenza mondiale. Altro fatto ineluttabile è che i problemi principali da risolvere per la filiera mondiale del tessile, a livello globale, sono la sostenibilità dei processi di coltivazione per le materie naturali, l’uso sempre minore di materie prime fossili (petrolio e suoi derivati, ndr), il riciclo e la gestione del rifiuto tessile. Questi sono temi imprescindibili e sono al centro dell’attenzione delle nostre attività di ricerca e innovazione sia come Sistema Moda Italia, che come Cluster Tecnologico “Made in Italy”.