Tessile sostenibile? Si può fare!
Il grosso rischio, parlando di sostenibilità, è quello di essere tutti appassionati ed emotivamente coinvolti ma poi di rimanere nell’ambito astratto dei concetti, senza riscontri concreti e quotidiani se non quelli dei macroeventi, quasi sempre climatici, che ci colpiscono. Tutto questo provoca una sorta di confinamento nell’astrazione delle problematiche d’impatto ambientale, nonostante sia molto facile, nella quotidianità di ciascuno di noi, renderci conto di quanto sia terribile e concreto il problema. Lasciando perdere le immagini da “disaster movie” di una Pechino arancione d’inquinamento atmosferico, basta guardare quanta plastica utilizziamo “monouso” ogni giorno con i semplici gesti della quotidianità per rendersi conto che siamo di fronte a una questione vitale.
Allo stesso modo, nel nostro mondo produttivo, diciamo la verità, si parla molto di sostenibilità, ma se ne discute quasi fosse un fastidioso obbligo a cui ottemperare nella costruzione di qualsiasi collezione da offrire alla clientela. Costoso e faticoso, da prevedere, ma più per rimanere sul mercato concorrendo con gli altri, piuttosto che per…continuare a respirare!
Ciò avviene, per esempio nel campo della manifattura tessile, a mio parere, più che altro per mancanza d’informazioni, ovvero per la non conoscenza dei veri numeri d’impatto ambientale della produzione quotidiana delle aziende del settore. I macronumeri, ancora una volta, non servono: dire che il tessile mondiale è, nella scala delle filiere che producono impatto ambientale,seconda in classifica, non serve a nulla anche perché, di fatto, la manifattura tessile veste e riveste miliardi di persone, di case, di automobili, eccetera. Sostenibilità diventa così più argomento di marketing di assoluta priorità.
Bisogna dare atto a Confindustria Moda e a Sistema Moda Italia di averci messo “la faccia” sull’argomento e, col convegno del 4 ottobre scorso a Milano, durante il quale sono stati presentati i due sistemi di misurazione dell’impronta ambientale di un prodotto/processo. PEF (Product Environmental Footprint, Impronta Ambientale di Prodotto) e OEF (Organization Environmental Footprint, Impronta Ambientale di un’Organizzazione), di aver affrontato l’argomento con la dovuta attenzione. Merito primario di tale sforzo va riconosciuto alla Commissione sostenibilità di SMI, presieduta da Andrea Crespi, presidente del comitato Sostenibilità di SMI e direttore generale di Eurojersey. L’impresa lombarda è fra i leader mondiale nella produzione di tessuti tecnici indemagliabili ma, soprattutto, è l’azienda che per prima nel settore tessile, nel 2007, ha cominciato ad affrontare l’argomento dell’impatto ambientale d’impresa. Rappresenta quindi un “case history” da leggere con particolare attenzione, sia per le aziende per capire cosa significa dedicarsi a un progetto del genere, sia per la clientela per acquisire la necessaria coscienza dello sforzo profuso dal produttore che si impegna a misurare la sostenibilità. I numeri, dunque, potrebbero sembrare noiosi, ma in questo caso sono il modo migliore per dare un senso reale – fuori dalle declaratorie di marketing – a un complesso progettuale davvero più sostenibile.
Eurojersey ha impostato un modello industriale unico e virtuoso in grado di promuovere un insieme di pratiche e tecnologie per ridurre l’uso di acqua, energia, prodotti chimici e rifiuti. Attenta all’ambiente grazie a una filiera produttiva a ciclo verticalizzato completamente Made in Italy, riesce a tenere sotto controllo l’intero processo produttivo e a monitorare costantemente i risultati del suo impegno nei confronti dell’ambiente.
Ovvio che un progetto così efficace può ottenere il massimo dei risultati solo in presenza di una gestione verticale dei vari processi di produzione. Una condizione che, nel settore dell’arredamento, raramente si verifica poiché la filiera è sempre più organizzata sulla base di rete d’imprese specializzate. Ciò tuttavia conta poco perché quello che ci interessa mettere in evidenza è proprio quanto un modello industriale virtuoso, in realtà, non porti solo dei vantaggi dal punto di vista del rispetto ambientale – e, a voler essere cinici, dal punto di vista del famoso marketing – ma concreti risparmi sul fronte dei costi, con un evidente miglioramento del conto economico.
E allora andiamo a vederli un po’ questi numeri che sono il frutto dello studio che ha portato l’impresa lombarda a certificare la propria impronta ambientale con la PEF (Product Environmental Footprint), con l’attestato PEF 010/19 conferito da Certiquality ad aprile di quest’anno.
Nella “mission” dell’impresa stanno due parole d’ordine chiare che diventano concetti base di questo progetto: prima di tutto “riutilizzo”, termine chiave del risparmio idrico che nell’ultimo anno ha permesso di recuperare ben 30 milioni di litri acqua nel proprio processo produttivo con un risparmio energetico di oltre 200 TEP (tonnellate equivalenti di petrolio). Inoltre, grazie agli ultimi interventi di efficientamento, l’azienda ha ridotto i consumi di gas metano di circa 350.000 metri cubi corrispondenti a meno 700 tonnellate di CO2. E poi “massiccia riduzione degli sprechi”, ovvero riduzione degli scarti di lavorazione, ottimizzazione dei metodi di tintura e di stampa oltre a una gestione attenta del packaging. Tutto ciò ha contribuito a realizzare risultati importanti come il risparmio ogni anno di 4.000 metri di cellophane e 9.000 tubi di cartone da imballaggio.
Con la PEF, istituita nel 2013 dal Joint Research Centre (JRC) dell’Unione Europea come raccomandazione per tutte le aziende europee, Eurojersey attesta l’impronta ambientale sull’intero ciclo produttivo misurando 16 indicatori fra cui: la quantità di energia consumata per alimentare i processi produttivi, l’impronta di carbonio, l’impronta idrica, l’ecotossicità, l’eurtrofizzazione delle acque dolci e marine, l’acidificazione e la tossicità umana.
Valutando l’impronta idrica, che determina l’impoverimento delle risorse di acqua da attività umane svolte in un determinato territorio, su un metro quadro di tessuto tinto l’impatto ambientale di Eurojersey è risultato pari a 1,3 – 4,1 metri cubi di acqua mentre per la stampa il range è stato di 3,01 – 15,42 metri cubi di acqua. Considerando che l’impronta determinata da una bottiglia di 0,75 lt di vino fermo è pari a 1,27 metri cubi di acqua, il suo impatto risulta paragonabile quindi all’impronta ambientale di un metro quadro di tessuto. L’impronta di anidride carbonica che misura le emissioni di gas a effetto serra responsabili del cambiamento climatico ha dimostrato che un metro quadro di tessuto tinto ha prodotto un impatto sull’ambiente da 1,01 a 2,77 kg di CO2eq, mentre un metro quadro di tessuto stampato da 1,43 a 6,71 kg di CO2eq. L‘impronta di un kg di pasta è pari a 2,11 kg di CO2eq. L’impronta energetica di Eurojersey ha messo in luce che un metro quadro di tessuto tinto ha prodotto da 17,28 a 47,07 MJ, mentre il tessuto stampato da 23,69 a 112,82 MJ. Tale impatto è confrontabile con quello associato ad un’automobile Euro 5 che percorre 10 km pari a 49,1 MJ.
Quale è il costo ambientale che si nasconde dietro il valore economico di un prodotto? Eurojersey ha calcolato il valore in euro prendendo in considerazione i danni dovuti dalle emissioni di anidride carbonica lungo il ciclo di vita pari a circa 0,30 euro per un metro quadro di tessuto tinto e a circa 0,70 euro per un metro quadro di tessuto stampato. Tali costi sono stati calcolati utilizzando il fattore economico previsto dall’EPA (United States Environmental Protection Agency. Technical Support Document: Technical Update of the Social Cost of Carbon for Regulatory Impact Analysis- Aprile 2016).
Ecco qui, abbiamo cercato di rendere il ragionamento sulla sostenibilità concreto e reale. La coscienza che la filiera tessile ha un suo impatto, e questo può essere ridotto, può diventare il valore per le scelte del futuro della clientela: perché la variabile prezzo potrà anche essere importante ma, con la giusta dose di retorica e di orgoglio, far bene al pianeta coinvolge tutti e noi italiani possiamo essere all’avanguardia di tali comportamenti virtuosi dimostrandoci, ancora una volta, collocati nell’ambito dell’eccellenza. Come dice Andrea Crespi:« Misurare le performance ambientali di tutto il ciclo produttivo, e agire di conseguenza nel miglioramento di questo, oggi rappresenta un asset strategico per le nostre aziende della filiera italiana e un vantaggio competitivo anche nel mercato del tessile internazionale».